Di Tommaso Montanari
Il diabete rappresenta una delle malattie metaboliche con il maggiore impatto sulla salute globale: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che nel 2022 ben 830 milioni di persone ne fossero affette. Le complicanze di questa malattia compromettono significativamente diversi sistemi del corpo, tra cui l’apparato urinario e quello circolatorio, con conseguenze negative sulla sopravvivenza dei pazienti.
Ma cosa si intende precisamente con il termine “diabete“?

Il diabete mellito comprende un gruppo eterogeneo di disturbi metabolici caratterizzati da un elevato livello di glucosio nel sangue, condizione nota come iperglicemia.
Questa è causata da una ridotta capacità delle cellule di utilizzare il glucosio come principale fonte di energia. Il metabolismo del glucosio è regolato principalmente dall’insulina, un ormone prodotto dalle isole di Langerhans, aggregati di cellule altamente specializzate nella sintesi ormonale situate nel pancreas. In base al meccanismo di insorgenza, si distinguono principalmente due tipi di diabete mellito:
- il diabete mellito di tipo 1, in cui le isole di Langerhans perdono la capacità di produrre insulina;
- il diabete mellito di tipo 2, in cui i tessuti dell’organismo sviluppano una resistenza all’azione dell’insulina, ostacolando l’assorbimento e l’utilizzo del glucosio per la produzione di energia.
Come per molte altre malattie, una diagnosi precoce del diabete consente sia ai pazienti che al personale sanitario di gestire la malattia in modo efficace e di ritardare o persino prevenire l’insorgenza di complicanze. In questo articolo riassumiamo come le recenti innovazioni tecnologiche abbiano contribuito a migliorare la diagnosi e il monitoraggio del diabete.
Diagnosi del diabete: quali sono le linee guida?
Quando il medico sospetta il diabete, il laboratorio diventa un supporto fondamentale per la diagnosi differenziale. L’OMS e la American Diabetes Association (ADA) hanno stabilito tre principali da tenere d’occhio, ovvero la glicemia a digiuno, la glicemia dopo il test di tolleranza al glucosio (glucose tolerance test, GTT), e l’emoglobina glicata.
Della glicemia abbiamo già parlato: è come una foto istantanea dello zucchero nel sangue. Ma cos’è l’emoglobina glicata? Se nel sangue c’è troppo glucosio, i globuli rossi ne “sequestrano” un po’: il glucosio sequestrato in questo modo si lega all’emoglobina. Ne consegue che più glucosio c’è in giro, maggiore sarà l’emoglobina glicata.
Quindi, mentre la glicemia ci dice com’è la situazione al momento del prelievo, l’emoglobina glicata ci racconta come si è evoluta la glicemia nell’arco di tre mesi, ovvero per tutta la vita media dei globuli rossi. Questo ci dà un’idea più precisa di come il livello di zucchero è cambiato nel tempo.
Con il test di tolleranza al glucosio si beve una soluzione zuccherata e poi si misura la glicemia a intervalli di tempo regolari. Questo ci dice quanto velocemente il nostro corpo riesce a “smaltire” lo zucchero in eccesso.

Alla ricerca di nuovi biomarcatori!
A prima vista, gli strumenti per la diagnosi del diabete che abbiamo illustrato sopra appaiono semplici e sufficienti per affermare se un paziente sia diabetico o meno. Il diabete, però, è una malattia estremamente complessa e ha numerosi fattori di rischio, tra cui la predisposizione genetica, uno stile di vita sedentario e una nutrizione non equilibrata.
Per questo motivo, la ricerca medica investe sforzi e risorse nella scoperta di biomarcatori che possano essere utilizzati per perfezionare la corretta diagnosi del diabete e sviluppare dei piani terapeutici mirati che si adattino quanto più possibile allo stato di avanzamento della malattia.
Un biomarcatore è una molecola la cui presenza o abbondanza relativa può essere associata a una variazione dello stato di salute o del funzionamento di una cellula.
Lo sviluppo di biomarcatori è un processo estremamente lungo che parte dall’identificazione di potenziali molecole candidate, che dovranno essere poi validate con modelli informatici e, successivamente, con prove sperimentali e test clinici che confermino l’accuratezza del biomarcatore nel supportare la diagnosi della malattia e nel descriverne l’avanzamento.
Abbiamo visto come il diabete si classifichi in due tipi a seconda dell’origine della malattia. Nello specifico, il diabete di tipo 1 si avvia con un attacco autoimmune alle isole di Langerhans. In parole semplici, può succedere che il nostro sistema immunitario, ovvero quell’insieme di cellule deputate alla difesa del nostro corpo dalle minacce esterne, veda le cellule del pancreas come estranee e, quindi, come un pericolo da debellare. Per questo motivo le cellule che secernono l’insulina vengono attaccate da quelle del sistema immunitario e non riescono più a produrre il loro ormone.
Forti di questa conoscenza, i ricercatori hanno individuato numerosi biomarcatori legati ai processi infiammatori che possono dire ai professionisti sanitari se le isole di Langerhans sono sotto attacco autoimmune. I risultati finora ottenuti hanno identificato alcuni processi infiammatori chiave coinvolti nell’insorgenza della malattia, assieme a numerosi promettenti biomarcatori delle diverse fasi di attivazione del sistema immunitario.
Le cose cambiano drasticamente con il diabete di tipo 2. Il sistema immunitario è sempre coinvolto nello sviluppo di questa malattia, ma con meccanismi diversi: mentre il diabete di tipo 1 deriva da un attacco autoimmune, quello di tipo 2 si sviluppa lentamente a seguito del graduale sviluppo di una condizione di infiammazione di quei tessuti che, più di altri, necessitano di grandi quantità di glucosio per poter funzionare, come ad esempio il tessuto adiposo.
Questo ci fa capire come mai il diabete di tipo 2 sia molto spesso associato all’obesità, ovvero a quella condizione di eccessivo sviluppo del tessuto adiposo.
Le cellule del tessuto adiposo sono specializzate nell’accumulo di grassi ingeriti tramite l’alimentazione e prodotti dal corpo. Quando il grasso diventa troppo, si sviluppano delle condizioni che favoriscono l’attivazione di processi infiammatori che coinvolgono specifiche cellule del sistema immunitario. Queste attirano altre cellule immunitarie producendo delle molecole che hanno la funzione specifica di modulare il comportamento di queste cellule nei confronti di un processo infiammatorio: queste molecole sono dette citochine.
Si tratta di un gruppo di molecole molto promettenti per la ricerca di biomarcatori che ci possano informare su quanto sia avanzato il diabete di tipo 2 in un paziente: infatti, i risultati ottenuti finora mostrano che le citochine che promuovono l’infiammazione aumentano nel diabete di tipo 2, mentre quelle che la contrastano sono ridotte.
Sebbene la ricerca sia tutt’altro che conclusa, le scoperte in nostro possesso possono rivelarsi molto utili per capire come è più efficace intervenire sul diabete secondo un approccio cucito a regola d’arte su misura per ogni paziente. Questi biomarcatori possono infatti aiutarci a capire se degli interventi mirati all’aumento dell’attività fisica e a una buona e sana alimentazione siano sufficienti o se servono altri supporti, come ad esempio la terapia farmacologica.
CGM: il laboratorio fuori dal laboratorio
Il monitoraggio continuo del glucosio (continuous glucose monitoring, CGM) è una tecnologia rivoluzionaria nella gestione del diabete che da un lato ha significativamente semplificato le attività dei professionisti sanitari, e dall’altro ha migliorato nettamente la qualità di vita dei pazienti diabetici, riducendo lo stress da ripetuti prelievi e iniezioni e, allo stesso tempo, mitigando il timore di incorrere in episodi ipo- o iperglicemici.
Se il paziente che utilizza il CGM segue una terapia insulinica, è possibile accoppiare il dispositivo con una pompa che somministra una quantità controllata di insulina, andando così a sostituire le fastidiose iniezioni.
Il CGM si avvale di un dispositivo indossabile che monitora costantemente il livello di glucosio nel sangue tramite un sensore sottocutaneo per verificare che rientri nei range di sicurezza. Il dispositivo è molto versatile, in quanto può essere adottato nelle più diverse situazioni di diabete. Qualora la glicemia dovesse variare in modo da rappresentare un pericolo per il paziente, il dispositivo darà un allarme che permetterà di intervenire tempestivamente per ripristinare un livello di sicurezza del glucosio nel sangue.
I dati elaborati dal CGM possono essere inviati al proprio smartphone e anche al proprio medico curante, che può quindi valutare l’andamento della malattia e aggiustare di conseguenza la terapia.
Cosa possiamo aspettarci nel futuro?
La ricerca scientifica ha fatto molta strada nello studio del diabete, di come si sviluppa, e di come può essere trattato. I metodi diagnostici tradizionali accoppiati agli esami più innovativi possono fornire ai professionisti sanitari una mappa molto accurata della situazione specifica di un paziente. Ciò significa che l’equipe medica può pianificare interventi mirati su misura del singolo paziente che possono ridurre in maniera importante le complicanze anche molto gravi del diabete.
trovi un nostro video che racconta il diabete qui
FAQ
1. Cos’è il diabete e quali sono le differenze tra il tipo 1 e il tipo 2?
Il diabete è una malattia metabolica cronica caratterizzata da livelli elevati di glucosio nel sangue (iperglicemia). Nel diabete di tipo 1 il sistema immunitario attacca le cellule del pancreas che producono insulina. Nel diabete di tipo 2, invece, l’organismo diventa resistente all’insulina o non la utilizza correttamente, ed è spesso associato all’obesità.
2. Come si diagnostica il diabete?
La diagnosi si basa principalmente su tre test: la glicemia a digiuno, l’emoglobina glicata (HbA1c) e il test di tolleranza al glucosio. Questi esami permettono di rilevare la presenza e l’andamento della glicemia nel tempo.
3. Cosa sono i biomarcatori del diabete?
I biomarcatori sono molecole biologiche che indicano la presenza o l’evoluzione della malattia. Nel diabete, aiutano a individuare precocemente la malattia e a personalizzare il trattamento in base allo stato di avanzamento.
4. Cos’è il CGM e come funziona?
Il CGM (monitoraggio continuo del glucosio) è un dispositivo indossabile che misura in tempo reale i livelli di glucosio nel sangue. Utilizza un sensore sottocutaneo e può inviare dati a smartphone e medici per un controllo costante della glicemia.
5. Perché il monitoraggio è così importante per chi ha il diabete?
Un controllo regolare della glicemia aiuta a prevenire complicanze gravi come danni a reni, occhi, cuore e sistema nervoso. Le nuove tecnologie come il CGM rendono questo monitoraggio più facile e preciso.
6. Le nuove tecnologie possono davvero migliorare la gestione del diabete?
Sì. I progressi nella diagnostica di laboratorio, i biomarcatori e i dispositivi come il CGM permettono diagnosi più accurate, terapie personalizzate e un monitoraggio costante, migliorando la qualità della vita dei pazienti.
7. Il diabete può essere prevenuto?
Il diabete di tipo 1 non è prevenibile, mentre quello di tipo 2 può spesso essere evitato o ritardato adottando uno stile di vita sano, con alimentazione equilibrata, attività fisica regolare e controlli medici periodici.
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Biologo e science writer | Esperto in biotecnologie e divulgazione scientifica
Tommaso Montanari